di Andrea Olivotto

Martedì 26 Agosto 2008, ore 12.45. Nel Grand Couloir.

“Allora, OK Andre ?”

Filippo ha appena accorciato la corda tra noi, mi faccio passare un paio di giri sulla spalla e poi verifico la chiusura del moschettone nell’asola.

Tra noi ci saranno adesso si e no cinquanta centimetri. Così possiamo passare correndo senza restare pericolosamente lontani. Mi tocco il laccetto del casco sotto al mento, poi guardo in alto…ancora sassi… guarda quanti ne vengono giù, meno male che questi sono piccoli…altrimenti avremmo sentito urlare da sopra “rock” o qualunque altra cosa in qualunque altra lingua, tanto si sa di cosa si parla, l’importante è farsi sentire bene da chi sta sotto.

Monte Bianco, versante francese, via normale dell’Aiguille du Gouter. Alla fine ci siamo, eccoci all’ingresso del Grand Couloir, il canalone noto per il persistente rischio di essere bersagliati dalle pietre scaricate dagli alpinisti che salgono e scendono sulle sue sponde e dalle frane naturali provocate dal ritiro del ghiaccio che in passato ne ricopriva il fondo, trattenendo le pietre.

Guardo il cavo di assicurazione d’acciaio, tanto alto sopra di noi e tanto inutile…magari a inizio stagione, con il canalone completamente innevato, ma oggi non ci serve proprio a nulla.

“Andre ?” Respiro.

“OK Fil, via.”

Partiamo, venti forse venticinque metri di corsa con i ramponi ai piedi un po’ su ghiaccio un po’ su sassi e terriccio, con le orecchie ben tese a sentire ogni rumore da sopra. Corro, quasi in apnea, cercando di guardare ogni tanto a monte. Se arriva qualcosa di grosso dobbiamo muoverci insieme o accelerando o rallentando, ma insieme perché siamo legati molto vicini… Dai che siamo quasi fuori…sento terriccio cadere e piccoli sassi che mi sfiorano le gambe, speriamo non arrivi nulla di grosso dopo.

Raggiungiamo la spalla rocciosa. Guardo in alto e vedo la parete quasi verticale dell’Aiguille du Gouter che ora ci attende. Posso distinguere i caschi colorati di altre cordate snodarsi sulla via.

Lassù, ancora così tremendamente piccolo, vedo risplendere il luccichio del tetto del rifugio.

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Circa un anno prima. Passo San Marco in Val Brembana. Tardo pomeriggio. La Cima di Federica.

“Brava Fede. Vedi, qui siamo noi, dove c’è l’omino, e questa tratteggiata è tutta la strada che abbiamo fatto…”

“Come Pollicino ? Guarda papà, abbiamo lasciato dietro di noi i sassolini per poter tornare indietro se ci perdiamo…”

Guardo il display del mio GPS. La funzione si chiama trackback e in effetti è grazie alla memorizzazione della posizione di quei “sassolini elettronici” che il GPS ti può riportare a casa. Quante volte, nelle tue salite in solitaria, ne hai approfittato per uscire dai casini, vero Andrea ? Federica non ha ancora sei anni, e mi guarda interrogativa e desiderosa di una risposta come solo i bimbi dei quell’età sanno fare.